venerdì 28 agosto 2015

INDYCAR 2015: #15 Pocono (23 Agosto 2015)

Mi capitava di averne il sospetto, ultimamente, ma dopo la 500 miglia di Pocono una pessima certezza ha iniziato a farsi largo nella mia mente: gli appassionati di automobilismo sono condannati alla tristezza. È un destino ineluttabile, è come un animale che si morde la cosa. Eppure, dopo qualcosa come 23 o 24 anni di passione per i motori, non posso farne a meno, e credo di non essere l’unica.
È assurdo come tutto possa accadere quando meno te lo aspetti, quando anzi hai addirittura avuto la strana impressione che tutto stia iniziando ad andare bene. Poi è questione di un attimo e la tua memoria inizia ad essere selettiva. A chi mi chiedesse che cosa mi stesse dando l’impressione che tutto stesse andando per il verso giusto, risponderei che non ne ho la più pallida idea. È così, mi ricordo a malapena quello che è successo, perché ha perso d’importanza. Forse un giorno mi rileggerò la cronaca in chiave ironica che stavo scrivendo passo passo mentre guardavo la gara e che ho deciso di conservare sul mio computer e in backup sulla mia casella di posta elettronica. Forse un giorno me la rileggerò, avendo per un attimo ancora l’illusione che, interrompendosi ad un certo punto, tutto quello che è successo dopo non sia reale.
Quella di Pocono sarebbe stata la gara perfetta per ironizzare sul fatto che partire alle 14.37 appare nonsense alla mia mentalità europea, o magari per osservare che i tipi che annunciano “drivers, start your engines”, di tanto in tanto sembrano degli svitati.
Oppure era la gara perfetta per osservare che vedere una volpe che attraversa la pista e che, così dal nulla, in tutta tranquillità scavalca un muretto e se ne va così come se niente fosse, ignara di avere appena provocato uno dei millemila ingressi della safety car, è estremamente pittoresco.
Invece Pocono non è stata niente di tutto questo e, nel momento in cui mi sono accorta che, prima di andare a sbattere a sua volta, Wilson era stato colpito da un pezzo della vettura di Karam, ho capito che c’era qualcosa di cui preoccuparsi.
Ho sperato.
Ho sperato di sbagliarmi.
Non mi sbagliavo.
Non mi sbagliavo ed era maledettamente chiaro.
Tanti momenti di cui ricordavo a malapena mi sono riaffiorati in testa. Uno di quelli era un giorno dell’estate del 2003, in cui guardando le qualifiche insieme a mio padre non ci raccapezzavamo di che cosa ci facesse Wilson alla Jaguar anziché alla Minardi.
Un altro è un tweet che, tra l’altro, a mio parere con pessimo gusto, un tizio che mi segue su twitter mi ha linkato. Risaliva più o meno a marzo, e avevo scritto che speravo di rivedere Justin Wilson in Indycar. A volte mi chiedo chi mi fa sperare una cosa o l’altra.
È passato un giorno e mezzo tra il momento dell’incidente e quello della morte di Justin, un giorno e mezzo di speranze che non sono andate a buon fine.
Solo tre settimane fa, nel commento alla gara precedente, avevo lasciato intendere che la sua seconda posizione mi aveva soddisfatto, ma che avevo sperato in una sua vittoria.
Ancora una volta mi rendo conto di quanto i risultati siano inutili.

Mi manchi, JW.


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