domenica 4 giugno 2017

紳士淑女、あなたのエンジンを始める

Pronuncia, all'incirca "shinshi shukujo, anata no enjin o hajimeru", che secondo Google Translate traduce in giapponese "Ladies and Gentlemen, start your engines".

Indianapolis, 26 Maggio 1991: quel giorno Rick Mears vinse la 75esima edizione della Cinquecento Miglia e divenne il terzo quattro-volte-vincitore della storia, in una gara in cui il pilota rimasto in testa più a lungo fu Michael Andretti, che poi chiuse secondo. Era la prima volta, inoltre, in cui c'erano quattro membri della famiglia Andretti sulla griglia di partenza. Non solo. C'era un rookie che partiva dalla ventiquattresima posizione, dopo essersi qualificato otto giorni prima per l'evento, destinato a chiudere sedicesimo. Avrebbe potuto essere considerato uno dei tanti, se non fosse che, nel suo piccolo, stava scrivendo un piccolo pezzo della storia della Cinquecento Miglia di Indianapolis e che peraltro, una volta fuori dalle competizioni automobilistiche, era destinato a dare il suo contributo a quello che sarebbe successo a Indianapolis ventisei anni dopo, curiosamente nel giorno in cui veniva disputata, qui in Europa, la 75esima edizione del Gran Premio di Montecarlo.

Torniamo al rookie di Indy 1991. Campione della Pacific Division della Formula Atlantic nel 1989, stagione nel corso della quale aveva ottenuto quattro vittorie, poteva apparire destinato a diventare un pilota di un certo livello, ma la realtà dei fatti lo consacrò al ruolo di chicane mobile della Indycar e della Formula CART. Aveva già tentato l’anno precedente, senza riuscirvi, a qualificarsi per la Cinquecento Miglia, centrando l’obiettivo al secondo tentativo, quello del 1991, appunto. Quel rookie rispondeva al nome di Hiroyuki Matsushita, nome rigorosamente abbreviato in Hiro, perché si sa che gli americani non sono mai stati molto bravi ad azzeccare i nomi dei piloti stranieri.
Sponsorizzato dalla Matsushita Electrics, colosso giapponese fondato da suo nonno, HIRO MATSUSHITA era uno dei tanti signori nessuno che popolavano le retrovie delle corse sugli ovali, negli anni ’90, ma il suo accesso alla griglia di partenza della Indy 500 fu storico: era il primo giapponese a prendere parte alla Cinquecento Miglia di Indianapolis.
Vi gareggiò in totale quattro volte: saltata l'edizione 1992 a causa di una frattura a una gamba rimediata durante i test, fu al via nel 1993, 1994 e 1995, cogliendo come miglior risultato a Indianapolis un 10° posto alla sua ultima partecipazione. A quel punto ci fu la scissione IRL/CART e Matsushita divenne chicane mobile nella Formula CART e al termine della sua carriera divenne il pilota con il maggior numero di partenze nell'American open wheel senza ottenere nemmeno una top-5, record non troppo positivo che detiene tuttora.
Soprannominato King Hiro grazie a un team radio trasmesso durante una gara (per certe cose gli americani erano piuttosto avanti, negli anni ’90), esistono due varianti alla storiella che ne determinò il soprannome, ma tutte e due convergono verso lo stesso risultato. Non si bene nel corso di quale evento, perché come ben si addice alle “storielle strappalacrime” del motorsport, se sono interessanti finiscono per diventare decontestualizzate, Emerson Fittipaldi se lo ritrovò davanti e c’è da scommettere che Matsushita non fosse a pieni giri. A quel punto c’è chi sostiene che il messaggio pronunciato da Fittipaldi alla radio venne tagliato perché la prima sillaba non si sentiva bene, quindi ne uscì un “...king Hiro”, mentre c’è chi sostiene invece che, quando la comunicazione radio venne trasmessa di lì a poco, la prima sillaba fosse stata messa in silenzioso come censura. Non serve comunque molta immaginazione per capire che cosa intendesse dire Fittipaldi in quell’occasione.
Al termine della propria carriera nelle competizioni americane a ruote scoperte, “King Hiro” appese verosimilmente il casco al chiodo e andò ad occuparsi delle imprese di famiglia. Lasciò probabilmente un volante libero per qualcuno che se lo meritava più di lui, ma la CART fu costretta a dire addio a una presenza comunque pittoresca.

Durante gli anni in cui "King Hiro" era in azione a Indianapolis anche altri suoi connazionali fecero qualche comparsa. È il caso di KENJI MOMOTA, che risultava nella entry list del 1990 (stagione in cui Matsushita non si qualificò) ma secondo wikipedia non prese parte al rookie orientation test. Lo fece nel 1992, ma non si qualificò, in quanto il suo tempo venne battuto da Jimmy Vasser.
Momota non si qualificò mai per la Indy 500. In realtà non prese parte nemmeno ad altri eventi, dato che risulta non essere mai stato al via di una gara di Indycar. In seguito divenne il primo pilota giapponese a gareggiare in NASCAR, con all'attivo un paio di partenze nella serie Truck, in cui ottenne risultati di rilievo pressoché nullo.

Andò molto meglio a HIDESHI MATSUDA, il secondo giapponese a competere nella Indy 500. Tra il 1994 e il 2000, in sette anni tentò di qualificarsi per ben sei volte. Ci riuscì nel 1994, nel 1995, nel 1996 e nel 1999. In due di quelle occasioni si classificò in top-10.
Il suo ottavo posto nell’edizione 1996 divenne il miglior risultato ottenuto da un giapponese nella Cinquecento Miglia di Indianapolis, anche se ovviamente c’è chi dice che non vale niente, perché il 1996 era l’anno della scissione, la IRL era una serie molto disorganizzata e i piloti fu necessario andarli a pescare un po’ a caso, dato che quelli più rinomati, insieme ai team più rinomati, quel giorno gareggiavano nella US 500, in sovrapposizionehhhhh con la Indy 500. Sono profondamente convinta che i risultati vadano apprezzati per quello che sono e che chiudere una gara come la Cinquecento Miglia di Indianapolis all’ottavo posto significhi comunque avere ottenuto una prestazione dignitosa, pertanto direi che possiamo considerare la top-ten di Matsuda come una “vera” top-10, nonostante quello che dicono i fanboy puristi della CART (fanboy puristi della CART che, devo ammetterlo, in realtà in genere non spendono una sola parola per Matsuda, in quanto da loro ritenuto irrilevante, è più facile che se la prendano con gente tipo Lazier o Cheever). Matsuda conquistò anche un decimo posto nella gara del 1999.
Oltre che nella IRL, fece una comparsa anche nella Formula CART: gareggiò nel 1998 a Twin Ring Motegi senza ottenere risultati di particolare spessore. Suo cognato è un attore giapponese e si narra che, dopo la fine della sua carriera nel motorsport, Matsuda abbia lavorato come stuntman nei suoi film!

Agli albori del terzo millennio approdò a Indianapolis anche SHIGEHAKI HATTORI, che non è parente del Naoki Hattori che tentava di prequalificarsi sulla Coloni.
Shigekhaki gareggiava in Formula CART alla fine degli anni '90 e, quando gli fu ritirata la licenza perché ritenuto troppo inesperto avendo collezionato un totale di diciotto testacoda in sette gare, passò nella IRL.
Tentò di qualificarsi tre volte per la Cinquecento Miglia, tra il 2001 e il 2003, riuscendoci negli ultimi due tentativi, miglior risultato in gara 20° nel 2002.
Il miglior risultato che ottenne in altre gare fu un sesto posto nella IRL, che eguagliava il sesto posto ottenuto da Matsushita nell'epoca pre-scissione. In seguito Hattori gareggiò anche nel campionato NASCAR Truck e al giorno d'oggi possiede un team che gareggia in varie serie di stock car.

L'edizione del 2003 fu un'altra edizione storica: sulla griglia di partenza c'erano ben tre piloti giapponesi.
Il già citato Hattori partiva in penultima fila, mentre di maggiore spessore furono le performance di SHINJI NAKANO, qualificato quindicesimo, e di un altro di cui parleremo tra un po'.
Nakano, che aveva gareggiato nei tre anni precedenti in Formula CART, miglior risultato un quarto posto, chiuse in quattordicesima posizione l'unica Indy 500 a cui prese parte. Fu una delle uniche due gare della IRL a cui prese parte, l'altra quella di Motegi all'inizio della stagione.
Al giorno d'oggi Shinji Nakano risulta ancora in attività, appare sporadicamente nel WEC e in tempi recenti ha preso parte alla sei ore del Fuji nel 2016 al volante della Manor.

A rendere il 2003 storico per il Giappone non fu solo la presenza di tre piloti giapponesi a Indianapolis, ma anche la performance di uno di quei piloti, che condivideva con Nakano il fatto di essere una “vecchia gloria” della Formula 1. Finita la sua parentesi in Formula 1, era approdato alla Formula CART nel 2001/2002, per poi passare alla Indy Racing League nel team di Mo Nunn, colui che era stato l’ingegnere di gara di Alex Zanardi all’epoca del team Ganassi e per cui Zanardi aveva gareggiato nel 2001.
La reputazione di questo fantomatico pilota giapponese non era proprio positiva, ma a conti fatti, palmares alla mano, la sua carriera fu meno negativa di quanto tendano a descriverla quelli che commentano ogni suo vecchio incidente come “worst indycar driver ever”. Il peggior pilota di Indycar di sempre non avrebbe portato a casa due quarti posti in Formula CART. Non sarebbe nemmeno stato il primo pilota giapponese a salire sul podio in una gara della IRL (Texas 2003).
Forse non si sarebbe nemmeno qualificato settimo a Indianapolis terminando la gara in quinta posizione, venendo votato come Rookie of the Year, perché le statistiche parlano chiaro: il RoY 2003 è nientemeno che TORA TAKAGI, nome completo Toranosuke, ma figuriamoci se gli americani potevano essere in grado di pronunciarlo...
Chiuso il campionato 2003 in decima posizione, Takagi rimase un altro anno nella IRL, dove ottenne però risultati di minore spessore. Anche a Indianapolis non ottenne risultati di particolare rilievo. Rimase comunque per cinque anni l’unico pilota giapponese ad avere ottenuto un podio in una gara di Indycar e, fino al pomeriggio del 28 Maggio 2017, il pilota giapponese meglio classificato di sempre nella Cinquecento Miglia di Indianapolis.

KOSUKE MATSUURA (il cui nome veniva pronunciato "Kozki" dagli speaker americani, non saprei dire se sia una pronuncia corretta o meno), gareggiò regolarmente in Indycar tra il 2004 e il 2007, con una sporadica partecipazione in seguito a Motegi 2009, e per quattro stagioni di seguito prese il via alla Indy 500, miglior risultato un undicesimo posto alla prima partecipazione.
Per il resto, nelle altre gare del campionato, il suo miglior risultato fu un quarto posto. Forse più che per i suoi risultati è celebre per la gara di Kentucky 2007, in cui Dario Franchitti lo utilizzò come trampolino di lancio in un curioso incidente che avvenne dopo che entrambi avevano già tagliato il traguardo. Franchitti disse che non si era reso conto che la gara fosse già finita e che, di conseguenza, pensando che ci fosse un altro giro, non si aspettava che Matsuura rallentasse. A rendere tutto ancora più incredibile, erano passati, all’epoca, appena sei giorni dal precedente cappottamento di Franchitti.

Ho parlato del fatto che il record di Takagi relativo alle altre gare del campionato IRL non fosse stato battuto fino al 2008 ed è giunto il momento di introdurre quello che gli strappò il record: secondo classificato nel campionato Indylights nel 2007, HIDEKI MUTOH debuttò in Indycar all'ultimo evento del campionato 2007. Gareggiò in pianta stabile tra il 2008 e il 2010, presenziando inoltre a Motegi 2011.
Salì sul podio due volte nella IRL, un secondo posto nel 2008 e un terzo nel 2009, e prese parte per tre volte di seguito alla Indy 500.
Alla Cinquecento Miglia entrò nella top-9 in qualifica per ben due volte, partendo in nona posizione nel 2008 e nel 2010. Ottenne due top-ten in gara, nel 2008 e nel 2009: settimo al primo tentativo, chiuse decimo nel secondo.

Più o meno all’epoca in cui Mutoh conquistava il primo podio in Indycar, TAKUMA SATO perdeva il volante in Formula 1 a causa del fallimento della Super Aguri. Voci di corridoio narravano che fosse in lizza per un posto in Toro Rosso nel 2009, ma nel 2009 in Toro Rosso c’erano Buemi e Bourdais.
Sato andò a gareggiare negli Stati Uniti, come sistemazione provvisoria, tanto che tuttora, di tanto in tanto, i telecronisti raccontano di come, pensando che tutto fosse destinato a finire molto in fretta, Sato non abbia mai portato la moglie e i figli negli States e che lui stesso, di fatto, abbia ancora residenza a Montecarlo, proprio come all’epoca della Formula 1.
Non fu tutto rose e fiori e anche in Indycar Sato si beccò un bel po’ di critiche, visto che non era mai stato un pilota molto tranquillo. Tuttavia, oltre agli incidenti e al caos, andò a cogliere anche dei piazzamenti sul podio. Il suo momento di gloria poteva arrivare nel 2012, quando all’ultimo giro della Indy 500 tentò il sorpasso su Dario Franchitti, al momento leader della gara. Gli andò male, cozzò contro la vettura di Franchitti e poi finì a muro. Franchitti, invece, vinse.
Nel 2013, a Long Beach, circuito cittadino, conquistò una storica vittoria. Fu il primo pilota giapponese a ottenere una vittoria in Indycar. Si susseguirono molti acuti, molto caos e soprattutto molto caos spesso in corrispondenza degli acuti. Takuma Sato stava ancora inseguendo la sua seconda vittoria in carriera e la sua seconda vittoria in carriera è arrivata quest’anno proprio alla Cinquecento Miglia di Indianapolis, laddove qualsiasi pilota vorrebbe vincere. Mai considerato uno dei favoriti, è stato per tutta la gara tra le posizioni che contavano. Alla fine si è portato in testa, superando Castroneves per la prima posizione... uno che la Indy 500 l’ha vinta tre volte, non il primo venuto. È diventato, all’età di quarant’anni, uno dei piloti che contano.
L’ha fatto grazie al team Andretti che ha creduto in lui e grazie alla Panasonic, che lo sponsorizza da anni e che da anni investe nelle sponsorizzazioni al motorsport.
La Panasonic appartiene al gruppo giapponese Matsushita Electrics. Il suo presidente è Hiro Matsushita.


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